venerdì, Maggio 3, 2024

30° Torino film Festival – Shell di Scott Graham (Gb, 2012) – Concorso

Presentato al BFI London Film Festival 2012, Shell è opera prima di Scott Graham, sceneggiatore e regista di un cinema britannico giovane e raffinato, capace di straordinarie riflessioni del tutto immuni da cedimenti retorici; in concorso al Torino Film Festival 2012, la recensione di Paola Di Giuseppe...

Presentato al BFI London Film Festival 2012, Shell è opera prima di Scott Graham, sceneggiatore e regista di un cinema britannico giovane e raffinato, capace di straordinarie riflessioni del tutto immuni da cedimenti retorici.
Un angolo delle Highlands scozzesi, una contrada solitaria in un territorio selvaggio battuto dal vento, erica coperta di brina a perdita d’occhio e la strada che si allontana fino al confine col canale e il cielo. Shell (Chloe Pirrie) una diciassettenne silenziosa, sottile, lunghi capelli scomposti dal vento e il padre, Pete (Joseph Mawle), uomo introverso, dolorosamente ripiegato su sè stesso, affetto da epilessia, vivono soli. La moglie/madre li ha lasciati quando Shell aveva quattro anni.
Hanno una piccola stazione di servizio nel deserto (in inverno a volte si può vedere solo una macchina alla settimana, dice la ragazza).

Perciò ti chiami Shell ? ” chiede un tizio di passaggio, convinto di essere spiritoso.
E’ il nome della più bella creatura del mare” risponde la ragazza, impassibile.

E’ una frase chiave del film, Scott Graham dissemina segnali impercettibili, da intercettare perchè affiori quella rete di simboli su cui la messa in scena scabra s’innesta con effetti di sorprendente leggerezza. Performance di forte carica emotiva, grondante disagio ma sempre distaccata e sobria, con un’economia di stile che dà forza supplementare alle immagini, mette in scena una delicatissima relazione padre/figlia. Universo claustrofobico, le rare invasioni esterne (una coppia che ha investito un cervo, Hug, cliente settimanale in un breve flash di folgorante intensità,  il giovane Adam, nome biblico e sorte molto terrena) vivono rigetti spontanei in questo rapporto esclusivo e totalizzante.

Il linguaggio filmico è disadorno, l’economia recitativa minimalista è affidata a soggettive che raccontano sentimenti e turbamenti. Il luogo affonda in una immobilità senza tempo, il profilo aspro del paesaggio, catturato dalla fotografia di Yoliswa Gärtig, batte un tempo freddo e come consunto, affidato a lunghi silenzi e sguardi pietrificati. Il silenzio dei luoghi è silenzio dell’anima in personaggi colmi di tenerezza ferita. In un universo naturale in cui presenza esclusiva è la solitudine, quel microcosmo umano è l’unica isola galleggiante in precario equilibrio. Il bisogno reciproco è lancinante, Pete è il padre/Dio, intorno a lui ruota lo spazio vitale di Shell. A sua volta Shell è l’ossigeno che tiene in vita Pete.

Mi sembra di mangiare la tua carne” dice lei, rifiutando il piatto col cibo. E’ un altro dei richiami simbolici necessari per capire il senso di una strana storia di ricerca e rifiuto dell’altro, il padre/uomo, unico essere maschile conosciuto e amato, e la figlia/donna, unico essere femminile sopravvissuto al naufragio.

Shell è la bambina cresciuta dal padre e diventata donna senza una madre (il sangue mestruale che scopre in bagno, il rannicchiarsi in posizione fetale sotto le coperte). Pete è l’uomo solitario e malato, consumato da una conflittualità lacerante, colpevole e vittima insieme. Solo un breve tratto di tempo, qualche giorno nella landa desolata a filmare due vite al confine. Poi arriverà il caso che tutto scioglie, e può anche essere di una banalità sconvolgente, come una bambola di pezza dimenticata da una bambina felice con la madre, passata di là in cerca di una toilette. Ma è anche l’eterno ritorno all’archetipo del padre che divora i suoi figli, alla conchiglia marina da cui rinasce la vita con Afrodite, al bisogno, incardinato profondamente nello strato più profondo dell’es, di “mangiare Dio” e “uccidere il padre”. Sequestrati nell’isolamento di un rapporto indefinibile, ambiguo, pieno di dolcezza ma anche terrificante nella potenziale violenza, solo la morte o la fuga potranno impedire lo scacco finale. La natura, cuore pulsante di vita, paradossalmente si annulla nei suoi esseri viventi, Shell è un racconto di annullamento, sguardo su un rapporto padre/figlia la cui media è il disagio, quello di Shell, chiusa in una condizione asfittica nel suo mondo di adolescente non scolarizzata e priva di contatti umani, e quello di Pete, uomo che suscita una pena profonda, un vinto capace di riscattarsi solo con la scelta finale, irreversibile.
Sarà irreversibile anche quella di Shell. Il nuovo uomo, Adam, non può sostituirsi a Dio. Non resta che percorrere quel lungo nastro di strada, non si sa dove si andrà, ma in genere da una conchiglia nasce la vita.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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